Teatro Niccolini

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Teatro Niccolini

  /  Rassegna Stampa   /  La favola amara di Filippo Timi Storia poetica di disabilità («La Nazione»)
«Siamo stelle filanti. Un soffio d’amore ci da l’abbrivio di pochi metri di vita; un volo patetico fra ridolini

Da martedì al Teatro Niccolini «Skianto», racconto autobiografico e sogno visionario Debutto per atto unico: la storia di un bambino impossibilitato a parlare e a muoversi

«Siamo stelle filanti. Un soffio d’amore ci da l’abbrivio di pochi metri di vita; un volo patetico fra ridolini e trombette e poi si cade a terra pronti per essere calpestati e scolorire nella memoria di un carnevale che se ne va». Filippo Timi arriva al Teatro Niccolini di Firenze con il suo spettacolo, «Skianto». Debutto martedì 14 dove resterà in cartellone fino al 19 gennaio: l’istrionico attore sale sul palcoscenico di via Ricasoli con il suo spettacolo a metà fra racconto autobiografico e sogno visionario. «Skianto» è una favola amara, un monologo spiazzante che mescola rabbia e dolore all’ironia pop. Insieme a lui Salvatore Langella, alla chitarra.
«Skianto è la bocca murata spiega Timi – è il racconto di un ragazzo disabile che ha il cancello sbarrato, lo spalanco quella bocca in un urlo di Munch. Gli esseri umani sono disabili alla vita. E siamo tutti un po’ storti se ci confrontiamo alla grandezza della natura. Esiste una disabilità non conclamata che è l’isolamento, l’incapacità di fare uscire le voci». Affidandosi a una lingua irregolare e immaginifica, Filippo Timi narra nel suo dialetto d’origine la storia di un bambino diversamente abile, dalla “scatola cranica sigillata”, impossibilitato a parlare e a muoversi. Il materiale da cui attinge e autobiografico (il riferimento e alla cugina, cerebrolesa): «Skianto» è quindi un diario privato, sconsolatamente ironico, fatto di ricordi, desideri e tormenti, sul quale l’attore-autore costruisce una palpitante partitura drammaturgica. La produzione è del Teatro Franco Parenti. Al Teatro Niccolini va in scena una favola stramba e struggente, senza lieto fine, in cui Timi fa il giro di boa come artista e si conferma un grande talento del teatro italiano. Malinconico come un clown, scintillante come una fata, da corpo e voce a quello che è un intenso monologo del 2014 scritto in dialetto umbro, di cui è autore e interprete.
L’ambientazione ricorda la palestra di una scuola elementare di provincia, dive c’è solo Timi con i capelli a caschetto, grottesco nei suoi pigiamini di pile e nelle t-shirt con Topolino. L’attore-autore veste i panni del piccolo Filippo, un bambino disabile, segnato da ferite precoci e inguaribili. È chiuso nel suo piccolo mondo: la sua disabilità è condizione e rappresentazione. In scena i desideri impossibili: fare il ballerino, il cantante, amare un pattinatore, sognare una vita che non sia una prigione, vivere in maniera normale con gli altri. Il j’accuse al mondo cieco. Da vedere.

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